Himlung Himal, 7126 metri: l’esperienza di Luca Montanari e Giorgio

Himlung Himal, 7126 metri

Giorgio, classe 1951, una smisurata passione per la montagna e un grande sogno nel cassetto: salire una montagna di 7000 metri in Himalaya. Domande, curiosità, dubbi, ripensamenti, di nuovo domande, fino a quando, qualche mese fa, decide di contattarmi.
Mi racconta le sue esperienze in montagna, mi spiega il suo obiettivo e mi chiede di vederci al più presto, per capire bene cosa potrebbe essere in grado di fare. E’ carico ed entusiasta, ma anche molto curioso.

La sua richiesta è chiara: scalare un 7000. A me spetta la decisione di scegliere quello più adatto a lui e alla sua preparazione. Mi metto subito al lavoro, alla ricerca di un 7000 che non sia troppo “impegnativo” e che non abbia pericoli oggettivi troppo elevati. Mi confronto con il mio collaboratore nepalese e insieme valutiamo delle proposte, tutte molto interessanti.
Finalmente conosco Giorgio e resto colpito dal suo carattere, dalla sua pacatezza che ben si sposa con la decisione e la determinazione nel voler perseguire il suo obiettivo. Valutiamo alcune salite e alla fine scegliamo la montagna che sembra avere le caratteristiche che cerchiamo: è l’Himlung Himal, 7126 metri di quota, nella regione del Manaslu.

Dal nostri primo incontro, avvenuto a marzo, ci rivediamo per acquistare il materiale idoneo e per fare alcune uscite sulle Alpi in preparazione del settemila.
Arriva il giorno della partenza: seduti uno accanto all’altro, voliamo verso le montagne dell’Himalaya, entrambi emozionati per l’avventura che sta per cominciare.
A Kathmandu incontriamo Riccardo, alpinista italiano, e Julio Phan, un ragazzo vietnamita entrambi parte della spedizione della quale io sono a capo.

Himlung Himal, 7126 metri

Dopo aver trascorso due giorni a Kathmandu, partiamo per il trekking di avvicinamento diretti verso la regione del Manaslu. Il trekking è davvero suggestivo, attraversa posti poco battuti dai trekkers e quindi ancora più selvaggi e misteriosi, che si fanno via via più brulli man mano che ci avviciniamo al confine tibetano. Lungo il percorso incontriamo pochissimi lodge e pernottiamo prevalentemente nelle the house, case di pastori nelle quali pranziamo e con un alloggio attiguo dove dormire.

Dopo 4 giorni arriviamo in prossimità del campo base e già possiamo scorgere la vetta della “nostra” montagna: una piramide perfetta con una bella cresta che si staglia verso il cielo, perennemente battuta dal vento.
Al campo base ci sistemiamo nelle nostre tende personali. Il nostro staff (cuochi, portatori e sherpa) provvede a tutti i nostri bisogni nel migliore dei modi: una tenda mensa con una grande quantità e varietà di cibo, una stufa per cenare al caldo, la tenda doccia per i più “temerari”: il tutto a una quota pari a quella della vetta del Monte Bianco!

Dopo i primi 2 giorni al base, inizia l’acclimatamento alla quota. Io e Giorgio iniziamo a salire per la prima volta ai campi alti. Ma prima di partire, prendiamo parte ad un rito a cui è impossibile rinunciare: è la Puja, cerimonia sacra per gli Sherpa, dove si prega per il buon esito della spedizione e si portano doni agli spiriti della montagna perché proteggano gli alpinisti durante la salita.

Il nostro team composto da quattro persone è supportato da tre Sherpa che ci aiuteranno nel trasporto del materiale in quota e che grazie alla loro disponibilità e simpatia renderanno le salita ancora più piacevole.
Mingma, il Sirdar (capo degli Sherpa), Dawa e Lakpa sono i loro nomi e tutti vantano innumerevoli salite su cime dai 6000 agli 8000 metri. Dopotutto gli Sherpa sono ben noti sin dalle prime salite della storia dell’himalaismo e, nel corso delle esperienze alpinistiche in Himalaya, si sono contraddistinti per la loro forza leggendaria e la loro predisposizione al freddo e all’alta quota: una vera garanzia a supporto degli alpinisti che tentano le vette di altissime quote.

Himlung Himal, 7126 metri

Dopo aver completato l’acclimamento cominciamo così a salire verso il campo 1, che raggiungiamo in 3 ore circa. Il tempo è bello e le buone condizioni ci accompagnano anche verso la salita al campo 2, posizionato sul ghiacciaio a 6100 metri. Risaliamo la parte di pietraia ripida poi, con un traverso, arriviamo sul ghiacciaio, dopo aver superato una zona un po’ ripida e crepacciata. Quando arriviamo alle nostre tende il sole è ancora alto: possiamo goderci un magnifico tramonto!

Il materiale è pronto: al calar del sole andiamo a dormire, in attesa della sveglia. Sonnecchiamo a malapena, perché l’emozione è davvero tanta.
All’una suona la sveglia. Facciamo colazione con del nescafè, biscotti secchi ed una barretta energetica. Fuori gli sherpa sono già in movimento. Usciamo, vestiti come astronauti, e subito diamo uno sguardo alla vetta. Il percorso di salita è lungo, ma tanta è la voglia di arrivare fin lassù.

Lego Giorgio, gli stringo la mano, partiamo. Ci muoviamo molto lentamente e assaporiamo ogni singolo momento della salita. Dopo circa 1 ora e un quarto di saliscendi raggiungiamo il campo 3 a 6300mt. A questo punto cominciamo un traverso su terreno ghiacciato non troppo ripido, ma esposto, dove gli Sherpa hanno piazzato delle corde fisse che ci agevolano la salita. Alla fine del traverso, un diagonale piuttosto ripido sui 60° sale in direzione della dorsale finale: qui utilizziamo le jumar per risalire le corde fisse. Il pendio è di circa 150 mt. Controllo Giorgio ancora una volta e mi assicuro che stia bene: lui mi segue al punto che devo raccomandargli di rallentare per non affaticarsi troppo. A 6500 mt la nostra corda si tende, il pendio si fa meno ripido e faticoso ma intanto Giorgio rallenta il passo. È provato, ha il fiato corto: mi dice che è stanco e ha le gambe inchiodate, che la parte di ripido lo ha sfinito. Non possiamo fermarci né bere, il vento in questo punto è molto forte,  occorre proseguire lentamente per recuperare ma stando in movimento. Proviamo a ripartire ma dopo un po’ la corda si tende di nuovo. Giorgio mi dice che è troppo stanco, dobbiamo scendere. Ho imparato a conoscerlo in questi mesi e ho capito che è uno che non molla: quindi se mi dice di tornare indietro vuol dire che proprio non ce la fa più.

Himlung Himal, 7126 metri

Torniamo indietro, nessun senso di sconfitta, né di resa: Giorgio è felice di quella sua conquista, si gode lo splendido scenario dell’Annapurna in lontananza e riusciamo anche a goderci l’alba che fa capolino sul Machapuchare, prima che questo scompaia tra le nuvole. Procediamo in discesa, con le spalle al “nostro” Himlung Himal e con mille pensieri in testa, tutti sereni, tutti positivi. Tutti in pace con la montagna che ci ha fatto sognare così tanto e che ancora continua a farci sognare.

Di questa esperienza mi porto una nuova amicizia, una nuova avventura che mi ha arricchito ancora di più e una voglia incontenibile di continuare a guidare le persone che si affidano a me attraverso salite così straordinarie, verso pendii più o meno difficili. Alla scoperta di montagne sempre nuove… e forse anche un po’ di noi stessi.

Grazie, Giorgio!
Luca Montanari

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