Preparati a vivere una stagione verticale all’insegna della neve e del ghiaccio…e non solo!
Scopri tutte le attività per la prossima stagione inverno/primavera 2023/2024.
Ti aspettiamo!
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Non c’è alcun dubbio: la felicità gode della proprietà transitiva. Stabilisce una relazione binaria tra le persone che hanno in comune una passione, un sogno o un sentire e le mette in connessione tra loro. Ma va ben oltre un principio matematico: travalica gli insiemi, ne abbatte i confini e moltiplica i suoi effetti all’infinito. Questo fa la felicità, se condivisa.
Io e Andrea Lanfri abbiamo raggiunto la vetta dell’Everest il 13 maggio 2022 alle 5.40 ora locale. Quello che abbiamo realizzato è la dimostrazione di quanto può essere contagiosa la felicità, arrivando al cuore di chiunque abbia conosciuto e letto questa storia o se ne sia imbattuto per puro caso. Una storia di resilienza, tenacia, determinazione e di una passione condivisa, dove la parola ‘impossibile’ perde il suo significato e diventa solo un limite, come tanti, da superare. Sul tetto del mondo ci siamo arrivati davvero. E a ognuno di voi spero sia arrivato, forte e chiaro, il messaggio che volevamo consegnare: ‘siate felici. E alle vostre vite lasciate che ci pensi la Vita’.
Putha Hiunchuli, settembre 2019. La mia avventura con Andrea è cominciata nel 2019, quando l’ho conosciuto. Prima di allora, non sapevo la sua storia: colpito da una meningite fulminante all’età di 29 anni e rimasto senza arti inferiori e senza sette dita, Andrea è stato in grado di ripensare completamente la sua vita ricreando nuovi equilibri, nuove quotidianità e nuovi obiettivi. Non solo si è rimesso in gioco, ma nel giro di pochi anni ha ottenuto grandi successi sportivi, ottenendo una medaglia di bronzo ai campionati europei paralimpici sui 200 metri e un argento ai mondiali nella staffetta 4×400. Nel tempo si è avvicinato all’arrampicata e all’alpinismo, fino ad accarezzare progetti molto ambiziosi.
Quando ci siamo sentiti la prima volta, Andrea aveva già scalato un seimila in sud America e puntava al tetto del mondo. Tra di noi la sintonia è stata immediata: l’amore per la montagna, il fascino delle altissime quote e il gusto per un alpinismo di tipo esplorativo. Prima di affrontare il tema Everest, però, abbiamo convenuto che fosse meglio scalare un settemila di preparazione, per testare sia la quota che la gestione delle protesi nell’ambito di una spedizione decisamente più impegnativa di un seimila. Nel settembre dello stesso anno siamo partiti alla volta di Putha Hiunchuli (7234 metri), una vetta della catena del Dhaulagiri, nella regione del Dolpo, una zona piuttosto remota del Nepal Centrale.
Quell’esperienza è stata molto avvincente sotto ogni punto di vista: abbiamo avuto la possibilità di vivere una spedizione di altri tempi in un ambiente remoto e poco frequentato, abbiamo condiviso lo stesso modo di intendere la vita da spedizione e abbiamo creato un legame molto forte con il team di sherpa, gli stessi che ci hanno accompagnato anche sull’Everest.
Andrea ha fin da subito mostrato un grande adattamento alla vita di spedizione: il suo modo di essere positivo e sereno, la sua resilienza e la sua incredibile forza di volontà mi hanno fatto capire sin dal primo momento che non solo saremmo arrivati in cima al settemila, ma molto più in alto, in futuro. Quando abbiamo raggiunto la vetta dell’Hiunchuli, è stata un’esplosione di pura gioia: un grande traguardo per Andrea e una enorme soddisfazione per me come guida e come persona, perché mi sono sentito parte di un disegno davvero grande, dove ho percepito per la prima volta il senso dell’impossibile farsi piccolo, al punto da diventare qualcosa di veramente fattibile: un progetto da realizzare, un limite da superare, un obiettivo da raggiungere.
Dopo Putha Hiunchuli, il progetto Everest è diventato la priorità per entrambi, tenuto in standby dai due anni di pandemia e finalmente diventato realtà nel maggio di quest’anno.
Il Nepal, l’Everest e la sensazione di essere a casa. L’arrivo in Nepal, il caos ‘accogliente’ di Kathmandu, le facce familiari di collaboratori e amici che ormai conosco bene da più di 10 anni che mi sono mancati molto in questi due anni di assenza… tutto questo è per me un po’ una seconda casa e poter finalmente tornare, dopo due anni di assenza, è stato una boccata di ossigeno e di gioia.
Come sempre, il trekking di avvicinamento è un modo per entrare gradualmente nel vivo dell’ambiente e pregustare quella che sarà la vita al campo base. Una volta arrivati, abbiamo pianificato la nostra routine giornaliera e abbiamo iniziato a prepararci per l’acclimatamento.
Per testate il nostro stato fisico e migliorare l’acclimatamento, insieme agli Sherpa abbiamo salito il Lobuche East, una cima di 6120 metri ad un paio di giorni di distanza dal campo base. Quel warm up, come lo abbiamo scaramanticamente chiamato, è stato un modo per rompere il ghiaccio e una bella iniezione di fiducia ed adrenalina.
Le rotazioni dell’acclimatamento sono andate tutte secondo i nostri piani, permettendoci di completarlo nei tempi e modi stabiliti. Nella fase più delicata della spedizione, quella che precede la salita fino alla vetta, è fondamentale tenere la concentrazione alta e fare scorta di tanta energia e tanto entusiasmo che né io né Andrea ci siamo fatti mai mancare: l’emozione e la gioia di essere ad un passo dal tetto del mondo sono stati per noi fonte incredibile di forza e determinazione, insieme ai numerosissimi messaggi di familiari, amici e conoscenti che continuavano ad arrivare da casa.
La salita. La notte del 12 maggio abbiamo raggiunto quota 7900, il mitico Colle Sud dove si trova il campo 4. È la death zone, un posto che oserei definire davvero estremo, dove il vento si incanala ed è sempre fortissimo, al punto che è praticamente impossibile stare fuori dalle tende, ma anche riposare all’interno, dato il rumore continuo. Abbiamo cercato di riposare per qualche ora e poi, alle 19, è cominciata quella che sarebbe stata per me la salita più incredibile mai realizzata fino ad oggi: l’Everest, il tetto del mondo, la montagna più alta della terra, il sogno e l’ambizione di ogni alpinista.
Prima di partire ci siamo dedicati ad un lavoro di squadra certosino e ben oliato: in questi momenti non bisogna tralasciare nulla, è necessario verificare ogni punto della to-do-list prima di uscire dalla tenda, scaldare molto bene i piedi, indossare e allacciare bene gli scarponi, verificare tutone, guanti, passamontagna, fare il check dello zaino, acqua e barrette o gel nei tasconi del tutone a portata di mano e al caldo, fare il check dell’ossigeno.
In vetta! La notte della cima usciamo dalle tende, ci muoviamo come astronauti nei loro tutoni, ci guardiamo in faccia: io, Andrea, Mingma e Lakpa. Pronti, segno OK, si parte. Abbiamo l’ossigeno, ma i movimenti sono comunque lenti perché il fisico è provato dalla stanchezza e dalla quota. Il pendio si fa sempre più ripido, il mondo intorno a noi sembra essere quasi irreale. Passano le ore, avanziamo lenti, è ancora buio, il cielo stellato sopra di noi sembra incoraggiare i nostri passi. In lontananza si scorge qualche temporale, ma non ce ne curiamo: sono molto lontani. Quando arriviamo in cresta, attaccati alle corde fisse del passaggio più esposto dell’Hillary Step, riesco a dare un’occhiata in basso fino a scorgere le lucine del campo 2, ben 2400 metri sotto.
I momenti immediatamente precedenti la vetta sono caratterizzati da un vero e proprio stato di grazia: nonostante la fatica e il freddo, ci si ritrova ad un passo da un obiettivo sognato per tre anni, o meglio da tutta la vita. Ogni cosa va gestita in modo quasi chirurgico: il compagno di cordata, un passo dopo l’altro, il respiro, lo sguardo. Persino le emozioni vengono accompagnate nella salita con cura ed attenzione, perché un momento così intenso e fortemente voluto difficilmente sarà replicabile, sicuramente sarà indimenticabile.
Finalmente l’alba, il sole, la Vita. Con la prima luce il mio corpo si risveglia, la mia mente si riattiva ma qualcosa sembra trattenermi nel fare gli ultimi metri: non è la stanchezza, ma sono io stesso che mi lascio attraversare da un fiume di emozioni. Mentre faccio gli ultimi passi mi rendo conto che ho bisogno di rallentare, ho l’ossigeno ma mi manca il fiato, ho un groppo in gola che mi blocca, sento che sto per esplodere. Allora mi siedo, guardo la statua di Buddha sulla cima, mi giro verso l’alba e e mi ascolto. Mia moglie, il mio papà, la mia famiglia, i miei amici… li vedo tutti qui, insieme a me. Prendo coraggio, mi faccio uomo e lascio correre le lacrime sotto la maschera. Il groppo in gola si scioglie e io e Andrea ci abbracciamo finalmente sull’Everest, disegnando la curva della Terra con lo sguardo e condividendo tutta la felicità del mondo!
Molto più di un team: una vera alleanza. C’è qualcosa che non viene mai detto delle spedizioni, secondo me: è una sorta di vera alleanza che i compagni di cordata sperimentano e che, una volta scoperta, è impossibile abbandonare. Io, Andrea, Mingma e Lakpa siamo stati non solo una cordata vincente, ma anche protagonisti di un disegno molto più grande di noi, perché con questa vetta abbiamo forse toccato un pezzettino di felicità universale, riuscendo a condividerlo con tutti: amici, parenti, perfetti sconosciuti.
Dopo aver toccato il cielo “con tre dita”, come ama dire Andrea, ho ancora più chiaro in mente che ognuno ha il suo Everest da scalare, che ogni percorso di vita costa sforzi, fatica e talvolta pericoli da superare. Ma con le persone giuste e le giuste connessioni, niente si disperde e ogni cosa torna al suo posto, preparando ognuno di noi alla sua salita più bella, nel momento giusto. In realtà il disordine che ci pervade, così come le mancanze che spesso lamentiamo, è solo apparente: la verità è che tutti noi abbiamo i numeri, la forza e le capacità per realizzare quello che vogliamo. Dobbiamo solo avere fiducia in noi, nelle persone, nella Vita e lasciarci guidare dalla felicità.
La spedizione è entrata nella sua fase più delicata e impegnativa.
Dopo aver completato l’acclimamento e trascorso qualche giorno di riposo a Namche Bazaar, Luca e Andrea sono rientrati al campo base, pronti per iniziare la salita.
In questo momento sono al campo 2 e stanno pianificando insieme al team di sherpa i prossimi giorni.
Per chi se lo fosse perso, ecco un rapido excursus della spedizione, dall’arrivo al campo base fino ad oggi.
Buona lettura…anzi buona visione!
4 APRILE.
Siamo al campo base. Solo noi, per ora. Il “villaggio” si popolerà nei prossimi giorni, man mano che arriveranno gli altri alpinisti, gli sherpa e i vari team. Per ora ci godiamo uno spettacolo assoluto per bellezza, imponenza, vastità. E silenzio. Sì, quel silenzio atavico che ci riconnette con noi stessi, con la nostra passione più grande e con la Montagna che ci accoglierà e che abbiamo avuto modo di ammirare in tutta la sua magnificenza due giorni fa, sulla sommità del Kala Patthar.
Tutto questo è davvero grandioso. Ed è tutto ciò di cui abbiamo bisogno, in questo momento.
6 APRILE
Nei giorni scorsi ci siamo riposati…a modo nostro!😅
A dieci minuti dalle nostre tende ci sono delle invitanti paretine di ghiaccio che ho battezzato: “il parco giochi di André”. Così ogni giorno ci teniamo in forma spicozzando qua e là!
Questa mattina abbiamo lasciato il Campo Base per spostarci a Lobuche, da dove nei prossimi giorni saliremo il Lobuche East (6120,) una bella cima che utilizzeremo per migliorare l’acclimamento.
Siamo solo all’inizio di questa grande avventura, davanti a noi abbiamo ancora tante giornate da gestire.
L’obiettivo è rimanere concentrati e lavorare bene giorno dopo giorno.
8 APRILE
Che acclimatamento sarebbe senza un 6000 come warm up?
Oggi siamo saliti in vetta al Lobuche East (6119 metri).
Domani si ritorna al campo base!
12 APRILE
14 APRILE
22 APRILE
23 APRILE
28 APRILE
29 APRILE
3 MAGGIO
4 MAGGIO
Si rientra al campo base!
Fra due giorni saremo nuovamente ai piedi dell’Everest per organizzare con il team di Sherpa il piano di salita.
Intanto ci godiamo ancora un pezzetto di questo straordinario trekking.
8 MAGGIO
Guida Alpina, Expedition Leader e sport mental coach, Luca Montanari sarà il compagno di cordata di Andrea Lanfri durante la salita all’Everest. Dal 2007 ad oggi, Luca ha salito oltre 20 cime tra i 6000 e gli 8000 metri. La sua grande passione per le altissime quote gli ha permesso di salire molte delle montagne più belle e più alte del mondo.
Da sempre ciò che attrae di più Luca nello scalare una cima non è tanto la performance sportivo/alpinistica in sé, quanto la sfida con se stesso: contro le proprie paure, i limiti mentali, le convinzioni che, se non vengono allenate e ben gestite, si trasformano in ostacoli insormontabili che compromettono la riuscita della salita.
Luca, cosa ti ha spinto ad accettare questa grande sfida insieme ad Andrea?
L’Everest è il sogno di ogni alpinista, che lo si realizzi o meno. È la montagna più alta del mondo e come tale rappresenta l’essenza dell’alpinismo, il punto di arrivo più alto in assoluto. Ho voluto condividere questa avventura con Andrea proprio per questo motivo: perché si può arrivare ovunque desideriamo o almeno provarci, se lo vogliamo davvero.
Non è la prima volta che accompagni Andrea in una spedizione. Insieme avete già salito un 7000.
Nel 2019 abbiamo salito Putha Hiunchuli, un settemila di 7246 metri che fa parte della catena montuosa del Dhaulagiri, nel cuore del Nepal Centrale, più precisamente nella regione del Dolpo. Ho conosciuto Andrea in quell’occasione: aveva questo grande sogno di salire un settemila. Per me è stata un’esperienza incredibile non solo dal punto di vista alpinistico, ma soprattutto umano: l’intesa con Andrea è stata perfetta fin da subito. L’esperienza del settemila insieme mi ha fatto capire ancora meglio quanto sia importante vedere le cose da più prospettive, perché solo così si trovano le soluzioni davvero giuste per ognuno di noi. Nessun timore, nessun limite, nessuna reticenza: solo la voglia di esplorare se stessi misurandosi con le proprie capacità, ma sempre preparandosi con metodo e determinazione.
Ciò che emerge in Andrea e che ci accomuna è l’amore fortissimo per la montagna e, di conseguenza, per la vita. Quindi, entrambi tendiamo ad associare alla montagna un percorso di vita che va vissuto con pienezza, con curiosità e con la voglia di scoprire continuamente cose nuove, sempre trovando strade alternative. Perché, di fronte ad ogni difficoltà, c’è sempre un piano b. Basta imboccare la strada giusta per arrivarci.
Obiettivo Everest: finalmente un sogno che si realizza per entrambi!
Il progetto Everest con Andrea, in cantiere da tre anni, è sicuramente molto ambizioso. Si tratta di una grande sfida che metterà alla prova la nostra volontà, le nostre capacità e la nostra resilienza. Oltre a legarmi in cordata con Andrea, in questo progetto ho il ruolo di Expedition Leader. Avrò quindi il compito di pianificare la spedizione negli aspetti burocratico, logistico e operativo e dovrò gestire il team. Dovrò, in pratica, fare in modo che ogni cosa funzioni al meglio per mettere Andrea nelle migliori condizioni e portare a termine il suo progetto.
Dietro noi alpinisti, infatti, sul campo c’è uno staff di persone con ruoli, mansioni e responsabilità molto importanti. La parte organizzativa della spedizione comprende diverse figure, quali: i corrispondenti dell’agenzia nepalese, gli Sherpa, i cuochi, i portatori, tutte figure con le quali dovrò interfacciarmi ogni giorno per fare in modo che le attività procedano secondo i piani, gestire eventuali imprevisti e prevenirne altri.
Oltre a gestire le problematiche e le relazioni nel team, un Expedition Leader deve essere in grado di far fronte ad un carico emotivo e di stress elevato, in questo caso amplificati dai fattori esterni come quota, freddo e fatica. Per me, quindi, ogni volta è una sfida nella sfida.
L’obiettivo che ci siamo posti io e Andrea é veramente importante e decisamente impegnativo. Dalla mia posso contare su una fortissima motivazione a dare il meglio di me, consapevole di essermi preparato al meglio per poter affrontare la montagna più alta del mondo.
Quanto conta il lavoro di squadra in progetti ambiziosi come questo?
È fondamentale. Il team ti protegge, ti motiva, ti ispira, ti aiuta a tenere la linea giusta da seguire. E ti invita a valutare tante altre opzioni che, se sei da solo, forse non riusciresti a prendere in considerazione. La squadra moltiplica le forze e i risultati, lo sostengo sempre con i ragazzi e le squadre che seguo nella mia veste di sport mental coach. E poi, squadra che vince non si cambia! Infatti, per la salita dell’Everest io e Andrea potremo contare sugli stessi Sherpa che ci hanno accompagnato in cima a Putha Hiunchuli.
Pianifica la tua estate verticale!
Se vuoi avere il calendario completo a portata di mano CLICCA QUI per scaricarlo.
ARRAMPICATA
Amare la montagna vuol dire viverla in tutte le sue sfaccettature, a partire da quella che sovverte le regole della gravità: l’arrampicata. Imparare ad arrampicare è di per sè molto semplice e non richiede particolari abilità: per cominciare occorre un po’ di allenamento, un buon feeling con le altezze e un corso per acquisire la tecnica necessaria per muoversi in parete in sicurezza.
Vuoi cominciare a muovere i tuoi primi passi verticali? Inizia con un corso di arrampicata!
ROCCIA
Oltre le falesie: l’arrampicata outdoor è il primo passo verso un mondo verticale che parte dalle vie a più tiri e arriva fino alle grandi classiche in Dolomiti. Se vuoi cominciare un corso di arrampicata sportiva a più tiri, ecco il programma che fa per te.
ALTA MONTAGNA
In cordata verso le celebri vette delle Alpi: questo è il punto di arrivo di un cammino iniziato in montagna con trekking ed escursioni e diventato, nel tempo, sempre più affascinante ed ambizioso. Sogni un 4000? Valutiamo la tua preparazione e scegliamo insieme il tuo prossimo obiettivo verticale
FERRATE
Le vie ferrate sono percorsi di montagna attrezzati con cavi metallici, scalette e passerelle che rendono praticabile la scalata anche ai meno esperti. Grazie a questi percorsi attrezzati si possono raggiungere cime o luoghi spesso inaccessibili a piedi.
Arrampicare è qualcosa di più della semplice esecuzione di una prestazione sportiva. È un’attività che, se praticata con una visione più aperta, permette alle persone di entrare in contatto con se stesse.
Il bello dell’arrampicata è proprio questo: ogni volta che ci prepariamo ad un nuovo progetto, ci prepariamo ad una nuova sfida con la parete e con noi stessi. Per arrivare a chiudere il tiro dobbiamo metterci in gioco con le difficoltà delle parete e con i nostri punti deboli a livello personale. Nel corso del tempo, con la pratica e l’esperienza, ad ogni salita il gesto tecnico e il livello di preparazione fisica migliorano e, allo stesso tempo, anche la mente viene allenata.
Con questo workshop lavoreremo su due tipi di preparazioni:
tecnica, che ci permette tante volte di sopperire ad una carenza fisica;
mentale, quel tipo di preparazione che spesso va ad influenzare le nostre prestazioni in parete e che varia da persona a persona.
Come sport mental coach lavoro con squadre giovanili e con atleti normodotati e disabili e mi occupo di preparazione mentale per l’arrampicata, fondamentale per mettere i miei allievi nelle condizioni di migliorare davvero. Lo scopo è insegnare loro come conoscersi, come arrampicatori e come persone, per avere consapevolezza di sé e raggiungere gli obiettivi prefissati.
Ho scelto un agriturismo immerso nel verde, completamente ecosostenibile e con molto spazio a disposizione per venire incontro alle problematiche legate al Covid e garantire il giusto distanziamento. Tutta la location sarà a nostra completa disposizione. Partendo direttamente a piedi dall’agriturismo, avremo modo di raggiungere alcune belle falesie su cui poter arrampicare per tutto il giorno. Al rientro dalla falesia, abbiamo inserito lezioni di yoga con un’insegnante e dopo cena tratteremo le tematiche legate alla preparazione mentale partendo da un’analisi delle arrampicate in falesia.
Saranno quattro giornate dedicate a voi stessi e ciò che più vi piace fare: arrampicare.
Vi porterete a casa una bellissima esperienza e tanti utili consigli pratici per migliorare nell’arrampicata e, sono sicuro, anche nella vita.
Per questo tipo di attività richiediamo una certa esperienza e quindi autonomia in arrampicata. Il livello minimo richiesto è di saper arrampicare da primi a vista sul 6a/6b.
Svolgimento dedl workshop: dal 5 all’8 dicembre 2020.
Scrivi all’indirizzo hello@innervisiontravels.com e ricevi il pdf con il programma dettagliato e i costi.
ARRAMPICATA – VIE LUNGHE
31 ott/1 novembre
TOTAL DRY TEST FERRARA DI MONTEBALDO
7 novembre
FERRATA PISETTA (difficile)
8 novembre
FERRATE SUL LAGO DI GARDA: Contrabbandieri e Cima Capi (medio-facile)
28/29 Novembre
WORKSHOP ARRAMPICATA SU TECNICA E PREPARAZIONE MENTALE
5-6-7-8 dicembre
SCIALPINISMO – SKI TEST DAY PASSO SAN PELLEGRINO (MOENA)
12 dicembre Scialpinismo
FREERIDE – SKI TEST DAY SAN PELLEGRINO (MOENA)
13 dicembre
ICE TEST DAY
19 dicembre
SCIALPINISMO DOLOMITI DI BRENTA
20 dicembre
ICE TEST DAY
8 gennaio
CORSO DRY & ICE
16-17 e 30-31 gennaio
FREERIDE DOLOMITI
23-24 gennaio
CORSO SKIALP ACADEMY con Guida Alpina e Maestro di Sci
6-7 e 13-14 febbraio
CORSO ALPINISMO MODERNO
20-21 e 27-28 febbraio
SCIALPINISMO SULL’ETNA
4-5-6-7 marzo
TREKKING NEPAL AL CAMP BASE DELL’EVEREST E KALA PATTAR (4454 m)
Dal 20 marzo al 6 aprile
I voli internazionali sono pronti ad atterrare a Thibuvan, l’aeroporto internazionale di Kathmandu.
Anche i nostri programmi Tour, Trekking e Spedizioni sono pronti. Tuttavia, per rispetto del popolo nepalese la cui sanità e’ già in difficoltà nel gestire i contagiati locali di Covid, ci fa rimanere cauti nel promuovere per l’autunno le partenze. Non appena avremo notizie sicure ci attiveremo per promuovere il Nepal con partenze a Novembre.
Nel frattempo ecco un anticipazione delle nostre proposte per la primavera 2021:
Marzo: “Discovery Nepal”, tour di 14 giorni.
Tour di 14 giorni adatto a tutti, con un breve trekking molto panoramico con vista su Everest, Lhotse, Ama Dablam e poi visita di Kathmandu, Pokhara e jungle Safari nel Parco del Chitwan.
Aprile: Trekking Peak
Il classico Trekking che porta al Campo Base Everest e al Kala Pattar(5545) e sulla via del ritorno la salita ad una bellissima cima di 6190 metri, l’Island Peak.
Aprile/Maggio: spedizione all’Everest (8850) con Luca Montanari Guida Alpina come Expedition Leader.
“Decenni di studi hanno dimostrato che i leader e i team migliori sono quelli con elevate capacità emotive e sociali, tra cui padronanza di sé, resilienza sotto stress, empatia, influenza e lavoro di squadra”. “Aggiungerei che queste doti sono le competenze che contraddistinguono i migliori performer del ventunesimo secolo”.
Rileggendo queste affermazioni, mi verrebbe voglia di rivolgere direttamente a Daniel Goleman (il padre dell’intelligenza emotiva) la seguente domanda: signor Goleman, ha mai avuto a che fare con una Guida Alpina?
Tra le innumerevoli skills che una Guida Alpina dovrebbe avere, ritengo che l’intelligenza emotiva sia una tra le più significative e difficili da acquisire.
Sviluppare l’intelligenza emotiva vuol dire creare dei presupposti per costruire relazioni forti e solide. Nel mio caso, significa stabilire una connessione esclusiva con il cliente.
Creare un canale di comunicazione (verbale e non verbale) è molto importante, perché il cliente non vuole solo vivere una bella esperienza, ma sogna di entrare in un mondo fatto di progetti sempre più arditi e nuove scoperte verticali di cui spesso è all’oscuro o non si ritiene all’altezza. La montagna custodisce i nostri sogni e ognuno ne vuole realizzare almeno uno. Quindi, stabilire una relazione empatica con la persona che mi chiede di “andare in montagna” è un passaggio obbligato.
Ogni volta che una connessione si stabilisce, è il mio “io” degli esordi che parla: intervengono le impressioni delle mie prime scalate, l’adrenalina dei primi progetti verticali, l’estasi delle prime ascensioni in alta quota, il sogno diventato realtà delle prime spedizioni in Himalaya. Tutte queste prime volte, che sono emozioni uniche e non replicabili, trovano tuttavia una nuova ragione d’essere nelle emozioni dei clienti che fanno la loro prima via lunga, che salgono il loro primo quattromila o che si approcciano per la prima volta ad una cascata di ghiaccio.
Non sono solo esperienze da ricordare, ma sono momenti di vita da risvegliare, coltivare, curare, per trasformarli in nuovi obiettivi da realizzare.
Ricordo di un cliente abituato ad andare sulle Alpi e in Dolomiti con guide alpine, ma che coltivava da tempo il sogno di andare oltre il Bianco, verso le maestose cime dell’Himalaya. Ci siamo conosciuti, abbiamo trovato un’intesa e un primo obiettivo da raggiungere: un settemila, in una zona poco conosciuta dell’Himalaya nepalese. Quella montagna non è stata solo un grandioso obiettivo, ma una finestra spalancata su un mondo misterioso e straordinario fatto di cultura sherpa, di tradizioni millenarie, di vita di montagna legata ad una forte spiritualità. Da quel settemila sono seguite altre spedizioni, caratterizzate da cime elevate in contesti inesplorati, fino all’apertura di una via nuova sul Gyanjikhang.
Un altro ricordo riguarda un corso di sci ripido. Prima della discesa lungo un famoso canale delle Dolomiti, ho colto in un paio di ragazzi del gruppo un certo timore. Sapevo che sarebbero riusciti a sciare senza problemi: dovevano solo gestire il loro stato d’animo in quel momento e prendere sicurezza. Li ho tenuti vicini a me, prima di ogni curva cercavo il loro sguardo, con pochi segnali decisi indicavo loro di respirare e davo loro il segnale nel momento esatto in cui effettuare la curva saltata. Ricordo bene il loro sorriso alla fine del canale: non potevano credere a quello che avevano appena fatto! Cogliere il loro stato d’animo, non farli sentire a disagio, infondere il coraggio necessario per prendere fiducia e superare insieme i loro limiti sono state le vere conquiste di quell’uscita, in una giornata dove l’empatia ha fatto la differenza.
Come guida, in montagna vivo emozioni doppie: le mie e quelle delle persone che accompagno. La nostra comunicazione (verbale, non verbale e paraverbale) diventa parte integrante della nostra attrezzatura tecnica; è indispensabile tanto quanto la mia corda, perché trasmette fiducia e sicurezza alla persona che è con me in quel momento. Durante una discesa di sci ripido, lungo una cresta affilata, su un passaggio esposto di roccia, il tono della mia voce, l’espressione del mio viso e il tendere la corda al momento giusto per infondere coraggio al cliente sono gesti che fanno parte del mio bagaglio di esperienze vissute in parete.
Nel mio mestiere non esiste la routine: salite ripetute tante volte sono sempre diverse, cambiano le persone con cui mi lego in cordata, cambiano le condizioni delle pareti, cambiano gli stati d’animo, cambia il tempo. E cambiano le emozioni, ogni volta condivise con persone diverse.
Mi piace pensare che il mestiere di guida non sia semplicemente “accompagnare le persone in montagna”, ma piuttosto “aiutare le persone a trovare la loro strada in montagna”. Un percorso spesso lungo, fatto di lezioni, di progressi graduali, di battute d’arresto e di nuovi obiettivi da raggiungere, ma sempre governato da una connessione empatica profonda ed esclusiva, che mette la nostra cordata in condizioni di raggiungere la propria vetta, qualunque essa sia.
SUL BLOG DI KAYLAND l’articolo completo: https://www.kayland.com/kayland-blog/luca-montanari-intelligenza-emotiva-e-alpinismo.html